Nel dibattito parlamentare sulla manovra è andata in scena una recita a
soggetto che per molti mesi ancora accompagnerà la destra. Alla
decadenza del confronto pubblico non sembra esserci più argine. Mentre
il Paese si sta giocando la sopravvivenza, a destra si dividono i ruoli
in commedia. Da una parte c’è chi cerca di smarcarsi da un governo
votato ma poco gradito. E dall’altra chi assume i toni agitatori e
annuncia una chiamata alle armi per una battaglia all’ultimo sangue.
La Lega è la più triviale manifestazione di quella sfacciata politica
che, diceva Machiavelli, ha una doppia anima, una in piazza e una in
palazzo. Dopo aver occupato così a lungo il potere, ed essersi anche
distinta per la solerzia nell’attacco ai diritti sindacali
(l’imposizione dell’arbitrato nelle controversie di lavoro venne
schivato dal Colle che negò la firma), ora il Carroccio scopre una
improbabile anima proletaria. È ridicolo passare dalle auto blu, dai
fastosi consigli di amministrazione e dalle allegre cene di Arcore ai
proclami insurrezionali redatti in nome degli umiliati e offesi.
Con la insulsa sceneggiata di vestirsi in aula con gli abiti operai, le
satolle truppe di Bossi cercano di far dimenticare (troppo in fretta!)
la loro responsabilità storica per la crisi e la decapitazione del
diritto del lavoro. Il famigerato articolo 8 contenuto nella manovra
estiva era stato difeso con le unghie anche dalle camicie verdi. Pure
nelle occasioni più cupe, la Lega ha fatto da sentinella alle volontà di
rottura di ogni coesione sociale sprigionata da Sacconi.
Per una mai dissimulata ingordigia di potere, la Lega ha calato le
braghe sulla vicenda Milanese e ha scritto in atti parlamentari che Ruby
era la nipote di Mubarak. Proprio il partito del ministro degli Interni
ha poi protetto i sodali di maggioranza accusati di collusione con la
mafia e la camorra. Sono stati anni fallimentari che hanno devastato
l’economia e decurtato i fondi per i servizi locali (alla faccia del
federalismo fiscale). Invece della sofferta meditazione sulle malefatte,
il Carroccio preferisce dare fuoco alle polveri e coprire le sue colpe
epocali sotto il fumo compiacente che tutto oscura.
Uno spirito di rivolta agita anche il Cavaliere ritornato parlante pur
di ottenere il rapido oblio sulle responsabilità che hanno provocato il
disastro. Il suo piano è di una semplicità infantile. Se le cose, come
si augura, non daranno segnali di ripresa, il discredito ricadrà
soprattutto sulle vecchie forze d’opposizione contagiate dal governo
tecnico. E il Cavaliere potrà risorgere dalle ceneri una volta ancora
come il nuovo che avanza dopo i salassi amari delle tasse volute dai
truci poteri forti.
L’antipolitica è l’eterna sua carta. Al populismo contro il tecnogoverno
cavalcato con impeto da Ferrara si aggiunge ora il rusticano
anticapitalismo di Di Pietro. Per il miraggio di avere qualche pugno di
voti in più, il partito neoideologico e veteropersonale dell’ex
magistrato manda in aria ogni prospettiva coalizionale. Si apre un ciclo
insidioso di insana demagogia. La ossessiva campagna antipolitica che
il giovedì va in onda a reti unificate, e ogni giorno conquista i titoli
conformistici della grande stampa d’opinione, sono una gradita boccata
d’ossigeno per il Cavaliere e per chiunque coltivi il progetto di una
uscita da destra dalla crisi di sistema.
Colpire le cariche più prestigiose e minare i partiti rientra nel
disegno di chi rispolvera persino il caldo concetto novecentesco (ed
eversivo) di stato di eccezione per dipingere il ruolo del capo dello
Stato, reo di aver sospeso la legalità costituzionale e sospinto le
istituzioni in una bellica terra di nessuno priva di garanzie legali e
senza più custodi! Berlusconi si è detto già pronto a rivendicare il
potere supremo di dare ordini dopo il tempo inutile del «disperato
Monti».
L’antipolitica che ha arruolato tanti interpreti cerca ora di saldare il
grave disagio sociale con la auspicata crisi dei partiti più sensibili
ai richiami del bene pubblico. Lo scenario di una contrazione della
democrazia in tempi di recessione non è da fantapolitica. L’antipolitica
si arresta solo con partiti dalle radici sociali solide. La sinistra ha
modificato su molti punti la manovra, correggendone palesi distorsioni e
clamorose omissioni. La battaglia però continua.
Dalla crisi non si esce certo con la mistica del rigore. Servono le
grandi idee della sinistra: crescita, dignità del lavoro, lotta alle
ineguaglianze, sostegno alla domanda e quindi al reddito, politiche
pubbliche, ricostruzione su base europea di un controllo politico del
ciclo economico, della moneta e dei flussi finanziari. Anche
nell’emergenza, le differenze con la destra restano abissali e solo le
idee della sinistra possono battere la crisi.
di M.Prospero www.unità.it